Chiesa di Sant’Antonio Lipari

27 Febbraio 2021 Chiese Lipari

di Michele Giacomantonio

Storia

Durante le sessioni del capitolo  dei provinciali  Capuccini  riunito a  Randazzo  nel 1584 per discutere le cariche dell’Ordine, il vescovo di Lipari Paoloo Bellardito  e una ristretta cerchia di nobili cittadini sollecitarono la richiesta per la presenza dei religiosi in città. I lavori per la costruzione della sede ebbero immediatamente inizio, nel 1599 la struttura fu completata e posta sotto il titolo dell’«Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria» (1° convento).

Ben presto la comunità fu incitata ad abbandonare forzosamente l’isola con pretesti vari, ufficialmente motivata dalla ricerca di condizioni migliori. In evidente contrasto coi principi della regola che prevedeva un tenore di vita spartano e senza entrate economiche se non la pubblica elemosina, mentre i religiosi pur di rimanere, si dedicarono al piccolo commercio di prodotti locali come uva passa, capperi e tante altre attività legate al mondo agricolo, pur di sostentarsi. Infine furono costretti ad allontanarsi.

Gli eventi trovano fondamento nel volgere di tre lustri nell’avvicendamento alla guida della sede vescovile di Martin Acunba , ( O.Carm),  Juan Pedro Gonzàlez  de Mendoza ( O.E.S.A.) , Alfonso Vidal ( O.F.M.). Quest’ultimo dietro le pressanti insistenze di alcuni giurati e per volontà dei Liparoti, nel 1600 fece richiesta formale a Papa Clemente VII  per accogliere una nuova comunità, preferendo religiosi dell’ordine di appartenenza. L’atto ufficiale di consegna dei fabbricati ai frati Osservanti di Calabria fu consegnato il 20 maggio del 1600, giorno dell’Ascensione.

I religiosiCappuccini  furono ben presto riammessi sull’isola, a loro fu assegnato un appezzamento agricolo fuori dalla cinta muraria ove edificarono un nuovo aggregato conventuale posto sotto il titolo dell’«Assunzione della Beata Vergine Maria» (2° convento). Terreni, dipendenze e pertinenze in gran parte trasformate in cimitero cittadino.

Le strutture della Civita, oggi Villa Mazzini,  furono ulteriormente ingrandite, rinnovate e perfezionate, i lavori terminarono intorno alla metà del  XVIII secolo.

Un ultimo intervento di manutenzione straordinaria è avvenuto intorno al 2010 e il 13 giugno 2017 vi è stata la riapertura del tempio.

Esterno

La torre campanaria sulla destra è a tre ordini: livello con coppia di monofore cieche, 2º livello con coppia di monofore, 3° livello con singola monofora e orlature rinascimentali laterali.

 

 

 

 

 

 

Il Convento

Imponente costruzione abbarbicata su sperone roccioso ripartita su due ordini. I prospetti dei corpi di fabbrica al piano nobile sono contrassegnati da grandi monofore con cornici ogivali e stipiti in conci di lava, finestroni al piano sottostante. Caratteristica merlatura posta a coronamento dell’edificio. Oggi le strutture sono adibite a sede del Municipio di Lipari.

 

 

 

Chiostro interno con targhe commemorative.

Tra i numerosi ospiti lo scienziato  Lazzaro Spallanxzani  (13 settembre – 17 ottobre 1788), viaggio motivato dalle indagini geografiche e geologiche estese alle Isole Eolie, studioso proveniente dalle strutture del convento dello stesso ordine, San Papino Martire  di Milazzo.

Dal 6 al 9 settembre 1835 le strutture ospitarono Alessandro Dumas  col pittore Louis Godefroy Jadin  e Ida Ferreri .

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Interno

                                                           

L’interno presenta a navata unica, volta a botte , pennacchi e tre finestre ad occidente. Un arco separa l’altare maggiore e l’area del  presbiterio  dall’aula. Le pareti destre e sinistra sono occupate da altari e nicchie.

L’altare Maggiore

Autore Ignoto. Prima metà del XVIII secolo circa. Legno scolpito, dipinto e dorato. La mensa dell’altare  come gli altri della chiesa è in marmi policromi ed è sormontata da macchina lignea costituita da colonne con capitelli corinzi decorate con arabeschi e ghirlande fitomorfi con sviluppo elicoidale. Le coppie di colonne collocate in prospettiva convessa reggono un cornicione  e un timpano  ad arco spezzato. Sulle cimae putti osannanti e vasotti acroteriali con fiamme delimitano una stele intermedia intagliata con stemma centrale e festoni. Nell’edicola lignea è collocato il quadro raffigurante la Vergine ritratta con San Francesco d’Assisi,  e  San Domenico di Guzmàn  di autore ignoto.

Uno dei due fraticelli collocati ai lati dell’altare maggiore che sicuramente è anche il più famoso dei due. Infatti è un santo e precisamente San Pasquale, francescano canonizzato da papa Alessandro VIII nel 1690. Il santo monaco è ritratto stante con il volto rivolto verso l’alto e le braccia distese e protese in avanti. Il basamento è decorato da motivi fogliacei e reca l’iscrizione: “SUMPTIBUS BENEFACTORUM 1733” che ne attesta l’anno di esecuzione. Analogie con altri simulacri del santo presenti nel messinese e in vari centri dell’Italia meridionale lasciano immaginare che esso sia opera di bottega napoletana.  Legno scolpito, dipinto e dorato. Autore ignoto napoletano 1733.

                                                                             

 

Due componenti della struttura dell’altare maggiore. A sinistra, Poggiata sul Tabernacolo che si proietta sul quadro una croce in legno del XVII-XVIII secolo. Legno scolpito e dipinto com. 102,8×64,8. A destra. L’arcata superiore dell’altare con le ricercate decorazioni.

   

E infine veniamo al dipinto attribuito a Giovanni Tuccari – Prima metà del XVIII secolo. Titolo: La Vergine e i Santi Francesco, Domenico, Agatone, Bartolomeo, Calogero e Pietro Tommaso Vescovo di Lipari e di Patti morto martire a Famagosta (Cipro) nel 1366.Tecnica: olio su tela.

Assisa fra le nubi e avvolta dalla luce solare della gloria divina e metafora della “Amicta Sole”, la donna dell’Apocalisse da cui ha origine l’iconografia dell’Immacolata, Maria tiene in braccio un vispo Bambin Gesù, circondata da un tripudio d’angeli e cherubini. Alla sua destra si sussegue una schiera d’angeli e arcangeli fra cui è riconoscibile Michele; a seguire sono: San Bartolomeo, che indica l’angelo con il coltello simbolo del suo martirio, San Calogero, Sant’Agatone e San Domenico, mentre sul lato opposto San Francesco riceve il Perdono d’Assisi dalla Vergine. Ai piedi di San Domenico sono poi due angeli sopra un cane con una torcia in bocca. che per questa tela, fulcro dell’imponente macchina dall’altare di legno intagliato, dipinto e dorato, si è ritenuto plausibile l’attribuzione al messinese Giovanni Tuccari . La pala è uno splendido compendio fra culto tributato ai santi fondatori dell’ordine francescano e dei predicatori, cioè, Francesco e Domenico, nonché ai santi legati al territorio liparese, Bartolomeo, Calogero, Agatone e persino San Pietro Tommaso Vescovo di Lipari dal 1354 al 1359 morto martire a Famagosta il 6 gennaio 1355. L’intento di Tuccari è quello di esaltare la dimensione trionfalistica della Chiesa contro le eresie protestanti e si ricollega, allo stesso tempo, alla lotta ingaggiata dai liparesi contro i turchi usurpatori. Entrambe possono essere vinte solo attraverso la fede, l’intercessione della Vergine Maria, dell’arcangelo Michele e dei santi a cui è legata la devozione locale.

Inoltre, il dipinto fa riferimento ad un importante tema francescano del cosiddetto Perdono d’Assisi, l’indulgenza che venne concessa nel 1216 da papa Onorio III a tutti i fedeli su richiesta di San Francesco. Secondo il racconto tradizionale, in una notte di luglio del 1216, mentre Francesco era in preghiera nella chiesa della Porziuncola, ebbe una visione di Gesù e della Madonna circondati da una schiera d’angeli e gli fu chiesto quale grazia desiderasse, avendo egli tanto pregato per i peccatori. Francesco rispose domandando che fosse concesso il perdono completo di tutte le colpe a coloro che, confessati e pentiti, visitassero la chiesa.  L’applicazione dell’indulgenza venne concessa per un solo giorno dell’anno, il 2 agosto; essa liberava dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno e all’ora dell’entrata in questa chiesa.

Il Coro

Coro, seconda metà del XVII secolo, Legno scolpito e dipinto 250 cm ca. x 240 cm ca. E’ collocato dietro l’altare maggiore, infatti i Frati Minori Osservanti si costruirono il Coro sopra la porta della Chiesa e quella dell’entrata» e questa i Cappuccini l’avevano costruita dietro il “Sancta Sanctorum” ovvero alle spalle del tabernacolo.

Il coro è composto da una coppia di stalli a quattro sedute per lato, addossati alla parete di fondo dell’abside e arretrati rispetto l’altare maggiore. Le spalliere hanno cornici mistilinee elaborate che si alternano a lesene scanalate e decorate da motivi fitomorfi con sovrastanti capitelli a foglia d’acanto. Il coro è intervallato da una porta lignea, forse realizzata precedentemente e che permette il passaggio alla sagrestia, scandita da quattro cornici, tre delle quali decorate con volute e girali fogliacei di gusto tardo barocco.

Il Crocefisso ligneo

La scultura raffigura Cristo crocefisso. Il capo è inclinato, le membra sono distese lungo la croce, il viso è incorniciato da una barba ondulata e da lunghi capelli. Il perizoma, legato al fianco da un evidente cordone, copre il corpo sanguinante del Cristo, dal cui costato sgorga copiosamente il sangue.

 

Crocefisso, XVII-XVIII secolo, autore ignoto, legno scolpito e dipinto 300 cm ca. x 200 cm ca. A destra, particolare del volto del Cristo

Cappella di San Pasquale Baylon

   

Cappella di San Pasquale di Baylon. Altare marmoreo, nell’edicola è collocato il quadro raffigurante l’Adorazione di San Pasquale Baylon ritratto con  Sant’ Orsola e altre tre figure, opera di  Giovanni Tuccari  realizzata nel 1741.Tecnica: olio su tela.

Il santo genuflesso è in estasi davanti al SS. Sacramento esposto in un pregiato ostensorio d’oreficeria contemporanea. Nella parte sinistra della tela Sant’Orsola, seguita dalle sante martiri, è abbigliata con ricche vesti mentre reca il crocifisso e una bandiera.

Il tema trattato è l’Eucarestia, centro della vita spirituale di San Pasquale dei Minimi di San Francesco, canonizzato da papa Alessandro VIII nel 1690. Pur essendo illetterato, seppe difendere la cristianità e la validità del sacramento eucaristico contro le accuse dei protestanti.

Sant’Orsola, anche lei difensore della cristianità e martire leggendaria del Medioevo, perse la vita a colpi di frecce nella città tedesca di Colonia insieme alle sue compagne . La complessità del tema svolto lascia supporre che il pittore dovette attenersi alle disposizioni del committente, il vescovo Bernardo Beamonte che resse la diocesi liparese da 1733 al 1742 (Iacolino, 1994, p. 225)

La rappresentazione dell’ostia nell’arte post – concilio di Trento comincia a divenire sempre più frequente; talvolta si trova all’interno di un ostensorio a forma di sole, davanti al quale si prostrano angeli e santi come San Pasquale Baylòn, che lo scorge nel cielo cadendo in estasi . Solo in seguito alle grandi lotte religiose, perciò, l’eucarestia, sotto forma del pane o dell’ostia, entra a far parte dell’iconografia artistica di cui il dipinto ne è una testimonianza .

Cappella dell’Assunta con San Benedetto e Santa Gertrude di Helfta

   

Autore: ambito messinese – 1753 – 1769 circa. Titolo: L’Immacolata con San Benedetto e Santa Gertrude di Helfta. Tecnica: olio su tela. Iscrizioni: IN CORDE GERTRVDIS INVENIETIS ME

L’immacolata è assisa sulle nubi con il viso rivolto verso il cielo, mentre il busto compie una leggera torsione verso destra con le mani giunte, in contrapposizione alla gamba sinistra flessa. I piedi sono poggiati sopra una mezza luna, secondo la visione giovannea, e al contempo schiacciano il serpente. Sulla parte sinistra della tela gli angeli reggono il piviale, la mitra e il pastorale di San Benedetto in preghiera. Sul lato opposto è Santa Geltrude, con in mano il proprio cuore abitato dal Bambin Gesù. Un putto in basso reca in mano due gigli, attributo legato all’Immacolata Concezione come simbolo di purezza, mentre altri due, nella parte superiore, reggono il cartiglio su cui è scritto: IN CORDE GERTRVDIS INVENIETIS ME.

Santa Gertrude divulgò il culto legato all’umanità di Cristo, tradotto nell’immagine popolare del Sacro Cuore. Per raggiungere gli uomini scrisse innumerevoli lettere, divenendo, per questo, precorritrice di Santa Teresa d’Avila e di Margherita Maria Alacoque, la sua canonizzazione avvenne nel 1738..

Il dipinto è collocato sopra l’altare con lo stemma del vescovo Vincenzo Maria de Francisco, dell’ordine dei Frati Predicatori (1753 – 1769), che potrebbe averlo commissionato (Iacolino, 1994, p. 225).

Cappella di Santa Teresa d’Avila.

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L’iconografia fa riferimento a due episodi distinti: il primo, verificatosi intorno al 1560, riguarda la celeberrima visione dell’angelo che conficca il dardo infuocato nel cuore di Santa Teresa, stesso episodio che ispirò una delle sculture più belle e sconvolgenti della carriera del Bernini.  Il secondo riguarda la visione del 15 novembre del 1572, quando Teresa riceve la grazia del “matrimonio spirituale”: «Mi apparve allora mediante visione immaginaria, come altre volte, nel più intimo dell’anima, e, porgendomi la mano destra, mi disse: Guarda questo chiodo: è il segno che da oggi in poi sarai mia sposa. Fino a questo momento non l’avevi meritato; d’ora in avanti avrai cura del mio onore, non solo perché sono il tuo Creatore, il tuo Re e il tuo Dio, ma anche perché tu sei la mia vera sposa: il mio onore è ormai il tuo, e il tuo mio».

La scena è qui rappresentata mentre Angeli variopinti sorreggono la croce di Gesù il quale, schiodata la mano destra, porge il chiodo a Santa Teresa. Alle spalle della mistica sorvola la colomba dello Spirito Santo mentre un angelo s’appresta a cingerle la fronte con una corona. Uno dei puttini in basso trafigge con il dardo infuocato il cuore che Teresa porta in mano e un altro reca il libro ove si legge il motto della Santa: AUT PATI AUT MORI.

Il tema iconografico del rapimento estatico è strettamente connesso al processo di rinnovamento figurativo che investì l’arte all’indomani del Concilio di Trento. L’intento di questo tipo di opere era di esaltare la vicinanza dei santi con il divino, soprattutto quando ricevono le visioni, sono in estasi, in preghiera, mentre ascoltano la musica degli angeli, per fare presa sul pubblico e coinvolgerlo il più possibile emotivamente. In oltre va detto che Santa Teresa è una delle sante maggiormente rappresentate nell’arte, infatti, la sua canonizzazione a Roma fu una delle più solenni nella storia della cristianità. La celebrazione avvenne il 12 marzo del 1622 unitamente a quella dei santi Ignazio da Loyola, Francesco Saverio, Sant’Isidoro e San Filippo Neri.

A Giovanni Tuccari, autore del dipinto, veniva riconosciuto fra i pittori messinesi il merito d’essere poeticamente fantasioso, capace di rendere l’opera con un colorito eccellente e un disegno naturale. Si possono apprezzare le figure rese con arditezza attraverso il variare delle tinte e la forza del chiaro scuro. Insieme a queste caratteristiche si osserva qui il forte realismo degli oggetti, resi con dovizia di particolari.

Ben poco si sa della formazione del Tuccari, al di là del fatto che aveva il padre e il fratello pittori, ed è probabile dunque che, dopo un breve apprendistato in patria, abbia seguito la scia di tanti altri artisti andando a studiare a Napoli e Roma.

Il culto della mistica spagnola fu verosimilmente introdotto sull’isola intorno al 1585 – 1593 dal vescovo Martino D’Acugna, Carmelitano Scalzo, confratello di Santa Teresa d’Avila e di San Giovanni della Croce (G.Iacolino, Le Isole Eolie nel risveglio delle memorie sopìte . Dalla battaglia di Lipari del 1339 alla vigilia della “Ruina” del 1544, 2015, p. 18). Sull’altare dedicato a Santa Teresa spicca lo stemma del vescovo Bernardo Beamonte (1733-1742), anche lui Carmelitano Scalzo, formatosi nel convento di Santa Teresa a Palermo e probabile committente delle tele del Tuccari (G. Iacolino, Le Isole Eolie nel risveglio delle memorie sopite. Il primo millennio cristiano. 1994, p. 225).

 

Note.

Molte delle immagini e delle informazioni sono tratte da Wikipedia, Chiesa di Sant’Antonio in Lipari.

Altre immagini e informazioni sono tratte da due tesi di laurea della dott.ssa Melissa Prota.

Università degli Studi di Messina- Facoltà di Lettere e Filosofia. Corso di Laurea in operatore di beni culturali.  “Per un museo diffuso: la scultura lignea nelle Chiese di Lipari”. Anno Accademico 2011- 2012

Università degli studi di Palermo. Scuola di Scienze umane e del Patrimonio Culturale. Dipartimento Cultura e società. Corso di Laurea Magistrale in Storia dell’arte. “La pittura sacra a Lipari dal cinquecento al settecento”.