Le cave di Pomice di Lipari

In vari momenti le Isole Eolie hanno avuto nella storia e nell’economia del Mediterraneo occidentale un’importanza di gran lunga superiore a quello che la ristrettezza del loro territorio e il numero dei loro abitanti potrebbero far supporre. Ciò avvenne nell’età neolitica, grazie al commercio dell’ossidiana, il taglientissimo vetro vulcanico eruttato dai vulcani dell’isola di Lipari, che veniva esportato fino ai più lontani lidi del bacino occidentale del Mediterraneo. E’ certamente per sfruttare i giacimenti di ossidiana che i primi gruppi umani provenienti dalla Sicilia si stanziano intorno al 4500 a. C. al Castellaro Vecchio sugli altipiani più fertili dell’isola di Lipari. Analogamente all’ossidiana, la pomice è stato un materiale da sempre ricercato per la molteplicità di impieghi che il suo sfruttamento rendeva possibile. Si può, quindi, affermare che le vicende culturali di Lipari sono scandite dalla presenza di questi due preziosi elementi: la bianca pomice e la nera ossidiana.

La pomice venne esportata dai romani, che la utilizzarono nelle loro costruzioni. Nel Medioevo, San Willibald che visitò Lipari intorno al 729, parla specificatamente della pomice che veniva usata dagli scribi per levigare la cartapecora, e che a questo fine veniva raccolta. Nel 1400, precisamente nel periodo dal 1413 al 1433, la pomice di Lipari è stata, probabilmente, utilizzata nella costruzione della Cappella di Santa Maria del Fiore a Firenze, dove serviva per la levigatura del marmo.

L’estrazione della pomice a Lipari risulta documentata dal 1680 in poi, ad opera di diversi naturalisti, ma solo nel corso del ‘900 essa si sviluppa su scala industriale, contribuendo ad incrementare notevolmente l’economia dell’isola.

Per approfondimenti vedi:

G. La Greca, La storia della Pomice di Lipari, dagli Albori alle concessioni Monopolistiche, casa Editrice Giovanni Iacolino Editore, 2003.

G. La Greca, La “Storia della Pomice di Lipari”, secondo volume, casa editrice Centro Studi Lipari, 2008.

G. La Greca, La “Storia della Pomice di Lipari”, Dal tentativo Haan alla Legge 10 del 1908”, terzo volume, casa editrice Centro Studi di Lipari. 2009.

Leonardo Bacot, note sul les carriéres de pierre ponce de Lipari” a cura di Ada e Rosario Amodeo Vichier, edizioni del Centro Studi di Lipari.

Lipari 1952 – Viaggio nelle cave di pietra pomice – fotografie di Cecilia Mangini, edizioni del Centro Studi di Lipari.


 

La Lipari di Curzio Malaparte

Curzio Malaparte trascorre, al confino a Lipari, circa sette mesi: dal 30 novembre 1933 alla fine di giugno del 1934.

Malaparte non scrive un diario del suo soggiorno a Lipari; i ricordi sono distribuiti nei suoi lavori: Fughe in prigione; Sangue; Donna come me (Fantasie), Mamma Marcia.

Con la data del 1934 è stato ritrovato nel suo archivio un “Quaderno di appunti” con prose, (poi riversate nei racconti) e poesie del periodo di Lipari. Nell’isola la costrizione obbligata si trasforma lentamente in una visione di serena e composta libertà, poeticamente espressa nell’osservazione della natura e della classicità greca dell’isola.

“Sbarcai anch’io, come l’eroe dell’Odissea, sulla nera riva di Marina Corta, quasi sugli scalini della chiesa del Purgatorio, costruita su uno scoglio alla estremità del piccolo molo, ai piedi dell’alta rupe a picco della rocca d’Eolo.”

Lipari, “l’isola di pietra galleggiante”, Vulcano, sono per lui simbolo del contatto con un ambiente selvaggio e al contempo pieno di fascinazioni mitologiche misteriose che nel corso della sua vita saranno spesso rimpiante.

Le Guide turistiche delle Isole Eolie hanno realizzato un percorso malapartiano che consente di visitare e rivivere i luoghi dello scrittore pratese.

Per approfondimenti vedi:

Giuseppe La Greca, “Curzio Malaparte alle Isole Eolie”, vita al confino, amori ed opere, Casa editrice Centro Studi Eoliani, Lipari, 2012.

G. La Greca “Voci dal Confino, Antifascisti a Lipari, 1926 L’Arrivo”, Casa Editrice Centro Studi di Lipari, 2014

G. La Greca, “Voci dal Confino, Antifascisti a Lipari, 1927 il primo anno”, Casa Editrice Centro Studi di Lipari, 2016.


Le terme di San Calogero

L’ex stabilimento termale di San Calogero

Le terme Eoliane erano ben note già ai greci ed ai romani e ciò è testimoniato dalle numerose strutture di queste epoche che gli scavi archeologici hanno messo in luce, già nell’anno 50 a.C, nel parla lo storico Diodoro Siculo.

Delle acque termali di Lipari parlano anche lo storico e geografo greco Strabone, nella sua “Geografia” ricorda fra le risorse dell’isola le sorgenti termali, e lo scrittore latino Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia”. L’erudito greco Ateneo, 2°- 3° d.C. nell’opera “Dipnosofisti” (sofisti a banchetto) menziona le sorgenti calde di Lipari fra le più note del suo tempo.

La struttura ottocentesca fu progettata e realizzata tra il 1865 ed il 1870. All’epoca del suo completamento essa era considerato un’opera pregevole per l’assistenza medica prestata ai degenti (antroterapia, fangoterapia, idropinoterapia, controllo di medici specialisti) per i servizi offerti, ma soprattutto per l’efficacia terapeutica delle acque che erano classificate come ipertermali e con caratteristiche salso-solfato-bicarbonato-alcaline.

L’impianto ha cessato la propria attività nel corso del 1975 a fine stagione termale. Non riaprirà più. I lavori di ristrutturazione durati oltre un ventennio, le scoperte archeologiche nell’area, le varie ipotesi di ristrutturazione di volta in volta proposte dalle decine di amministrazioni che si susseguono nel governo del Comune di Lipari condannano l’impianto all’oblio.

Scrive il prof. Bernabò Brea: “…La tholos di San Calogero (…) è probabile che sia il più antico edificio termale fino ad oggi conosciuto nel mondo mediterraneo, anche se l’utilizzazione a scopo curativo delle risorse termali naturali è forse vecchia come la stessa umanità. (…)”.

Possiamo ipotizzare che l’impianto sia stato costruito al tempo del leggendario Re Eolo.

Per approfondimenti vedi: Giuseppe La Greca, Le Terme di San Calogero, Gianni Iacolino Editore, 2005.